Mia madre era a casa, mi stava preparando un dolce. Mentre risalivo saltellando il vialetto d'ingresso mi aprì la porta prima che arrivassi a bussare.
Che ne dici di una seduta di allenamento?, mi chiese, sporgendosi oltre lo stipite della porta. Mi attirò a sé per un abbraccio di benvenuto, stringendomi al grembiule che mi piaceva di più, quello di cotone un po' consumato con coppie di ciliegie disegnate lungo gli orli.
Sul piano di lavoro in cucina aveva preparato gli ingredienti: il sacchetto della farina, la scatola dello zucchero, due uova marroni sistemate sulle scanalature tra le piastrelle. Un panetto giallo di burro che si sfaceva agli spigoli. Una coppetta di vetro con le scorze di limone. Passai in rassegna lo schieramento. Era la settimana del mio nono compleanno, e a scuola era stata una lunga giornata di lezioni di calligrafia, che detestavo, e di protesta in cortile sul conteggio dei punti, e la cucina piena di luce e gli occhi affettuosi di mia madre erano braccia accoglienti, aperte. Ficcai un dito nel sacchetto cerato dei cristalli di zucchero di canna e mormorai sì, magari, sì.
Aimee Bender, L'inconfondibile tristezza della torta al limone, Minimun fax
Continua...