mercoledì 11 settembre 2013

Nutrimento

RistoRacconti

 

Si capiva da come teneva la bottiglia tra le mani che per lui godere del vino era come indossare un abito elegante in cui stare comodo, o ammirare un quadro d’autore appeso alla parete più luminosa della stanza. Se la passava da una mano all’altra, la soppesava. Leggeva tra sé l’etichetta, e la voce sussurrava parole che non capivo, ma mi piaceva quel suono delicato all’orecchio. “Sono tanti i gradi di questo vino” disse “ma non ti devi spaventare, ti piacerà” mi tranquillizzò. Sollevò la bottiglia verso la luce e mi mostrò la brillantezza del colore: illuminato, smetteva di essere un bruno opaco ed esibiva un rosso violettino da tingerci stoffe preziose e gioielli. Di lui, Mario, io credevo di sapere tutto, lo conoscevo dagli anni della scuola superiore. Per me era il compagno di liceo con cui avevo scambiato un paio di baci alla fine dell’ultimo anno, e che poi avevo perso per strada mentre ero impegnata a laurearmi, a trovare un lavoro, specializzarmi all’estero, viaggiare, capire chi ero. Un bravo ragazzo che non si era mai mosso dal paese, dai fornelli del ristorante di famiglia. Ma da lui i clienti tornavano spesso per assaggiare i piatti di pesce o di carne e i suoi dolci speciali. Della sua cucina, seppi poi, apprezzavano tutto: i condimenti delicati, l’originalità degli abbinamenti, l’arte nella presentazione dei piatti. Lui, che del mondo non aveva fatto esperienza, era un universo sconosciuto da esplorare, e io lo intuivo solo ora, semplicemente da come stappava quella bottiglia.

Un profumo per un istante ti colora la vita. Immagini e ricordi emergono da un fondo latteo con pennellate sempre più decise. “Il sole al tramonto. Disteso su un prato d’erba fresca” disse mentre seguiva la scia profumata fluire dal collo della bottiglia. Me la allungò e anch’io giocai a mettere alla prova i miei ricordi: “Parigi. Rapita dai riflessi delle vetrate, nella cattedrale di Saint Denis” dissi per scherzo assaporando l’aria. Si stupì: quello era proprio un vino di uve di origini francesi, e io ero stata davvero brava a indovinare. Come ci ero riuscita? Mi sciolsi in una risata fresca come un torrente e con me anche lui. Scivolavamo facendo cascatelle e piccole onde. Mi piaceva, mi piaceva ogni cosa. Come se non avessi mai saputo niente, i primi passi. La gioia ebbra di stare con una persona. D’ un colpo il vino trasformò i bicchieri in coppe di rubini e lui mi insegnò come afferrarle e rotearle per impregnarle di ogni fragranza. Quando mi disse di assaggiare appoggiai le labbra e dolcemente piegai il collo all’indietro. In piccoli sorsi si sciolsero le spalle e poi le braccia e le gambe. La testa volò via. Scambiai l’abbraccio caldo del vino con il suo, di mani e braccia sicure sui miei fianchi, e con un bacio che sapeva di futuro e di vita insieme. Capivo tutto, con il corpo e con la testa, per la prima volta.

Quella sera aveva preparato un tavolo per noi, la sera che il ristorante era chiuso e la sala era tutta per noi, e lui soltanto per me. Cucinare per me, prendersi cura. Lo guardavo ai fornelli che preparava una carne rossa e succosa. Perché io avevo bisogno di sostanza e concretezza, sapori solidi e non frivolezze, disse. E che di quella carne e del vino che avevo assaggiato ne avrebbe fatto un tutt’uno, una cosa sola. Una cosa sola. Gustammo insieme quel piatto, con il vino che a condimento della carne era diventato una salsa avvolgente. Sempre di più, sorseggiando dal bicchiere quel nettare che l’esaltava e la arricchiva di sapori e tonalità nuove. Come una musica infinita.

Sento ancora quella musica ogni volta che Mario cucina per me o che insieme assaggiamo un vino che ci emoziona e lo ispira. Sono passati diversi anni da quella cena e io continuo a vivere di scoperte e di sorprese quotidiane accanto a lui. Ho imparato ad affidarmi, consegnarmi a lui. Perché il cibo preparato con amore e i vini scelti con la cura di chi sa voler bene sono il più grande nutrimento della mia vita.

Chiara Ferrari

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